
Prima parte.
Sebbene non godano dello status delle rose, le
ortensie si possono posizionare a buon diritto
sul podio delle piante assolutamente necessarie
nel giardino della passione. Tra i motivi per
cui piacciono e sono così tanto presenti, c’è il
fatto che sono piante ideali per l’ombra. Non
solo, possiedono quel fascino dei giardini inglesi
spettinati e colorati di inizio secolo, un
mix di mistero e seduzione, ma hanno tanti e
tali vantaggi di resistenza alle malattie, duttilità,
durata della fioritura e varietà di specie
da renderle appunto piante vincenti. Tuttavia,
mancano di una caratteristica a me cara: il
profumo; le specie e le varietà che ne sono dotate
hanno comunque fragranze lievi, nulla di
paragonabile alle rose. Da tempo, però, me ne
sono fatto una ragione; in fondo cos’altro ho
da chiedere a un fiore che ha già così tanto?

Origini
Il nome scientifico dell’ortensia è Hydrangea,
un termine che secondo alcuni botanici
proviene dal greco hydra, mentre per altri
dall’unione di hidro, cioè «acqua», con angeion,
ovvero «vaso». Ufficialmente il nome
risale al botanico svedese Carlo Linneo, che
ne parla nell’opera Species Plantarum (1753)
attingendo a sua volta a un’opera discussa,
quella di Gronovius. Il primo a riportarlo è
tuttavia un botanico poco conosciuto, il reverendo
anglicano John Clayton, che dalla
Virginia invia alcuni suoi manoscritti al botanico
olandese Johan Frederik Gronovius,
il quale nel 1739 ne trae una pubblicazione –
intitolata Flora Virginica – senza citare la
vera origine del testo, su cui pare ci sia ancora
discussione tra addetti ai lavori. Gronovius
si avvale proprio dell’aiuto di Linneo,
all’insaputa di Clayton, per fare un po’ di
“ordine” nella mole dei nomi descritti dal
vero proprietario dell’opera.

Il nome comune di ortensia pare invece derivi
da un francese, il naturalista Philibert de
Commerson, che nel 1771 battezza la pianta
in onore della principessa Hortense de Nassau,
figlia di un appassionato botanico con
cui era stato in spedizione. A Commerson si
deve comunque l’introduzione in Francia
delle prime hydrangee. È più probabile, però,
che il nome derivi dal latino ortensia, ovvero
colei che cura il giardino (peraltro soprannome
della dea Venere).
Nel mondo possiamo individuare circa 40
specie e centinaia di varietà di ortensie, molte
di provenienza asiatica e nordamericana,
e poi c’è un gruppo ristretto di origine sudamericana.
Si tratta di una pianta antichissima,
di cui sono state trovate tracce fossili che
ne testimoniano la presenza circa 30 milioni
di anni fa in Baviera.
Durante il XVII secolo le ortensie vengono
coltivate in Oriente, in particolare in Giappone,
mentre nel XIX secolo vengono introdotti
in Europa, dall’Estremo Oriente, i primi
esemplari di Hydrangea macrophylla, Hydrangea
serrata, Hydrangea involucrata e
Hydrangea paniculata, e solo in epoche più
recenti, dalle catene himalaiane, le specie

Hydrangea aspera e Hydrangea heteromalla.
Dal Sudamerica arrivano poi le specie rampicanti,
come le Hydrangea petiolaris. In
tempi antichissimi veniva usata, in Oriente,
per decorare piatti e bevande, un’usanza che
abbiamo ereditato anche noi; dobbiamo
però sapere che non tutti i fiori vanno bene,
anzi molti di essi, compresi quelli delle ortensie,
sono ottimi bioaccumulatori di metalli
pesanti, hanno cioè la facoltà di concentrare
i metalli pesanti che si trovano nell’aria
(soprattutto nelle grandi città) diventando
una vera e propria miniera tutt’altro che salutare
per l’organismo umano.

Caratteristiche
Le ortensie sono generalmente arbusti di medie
o grandi dimensioni, potendo raggiungere
in talune specie anche i 5-7 metri di altezza.
Alcune specie rampicanti poi, come le Hydrangea
petiolaris, si alzano fino a 8-10 metri
dal suolo. Quasi tutte le specie amano le esposizioni
all’ombra o mezz’ombra (ombra lieve
data da alberi di latifoglie), i terreni freschi e
ricchi di humus, tendenzialmente acidi, ma
con alcune eccezioni. Queste piante amano
l’acqua e desiderano una certa attenzione alle
loro esigenze idriche. Non facciamola quindi
mancare quando mostrano chiari segni di insofferenza.
Va detto che alcune specie sono
tutto sommato abbastanza rustiche e sopportano
un po’ di stress idrico e di calore, che viene
superato brillantemente con alcune accortezze
come una buona preparazione del terreno
con un abbondante strato di pacciamatura.
Un’altra questione spesso dibattuta tra gli appassionati
è quella relativa alla colorazione
abbastanza variabile di alcune varietà di Hydrangea
hortensis. Si tratta di quelle varietà
realmente sensibili al pH del terreno e ai minerali
in esso disciolti, soprattutto al ferro e
all’alluminio; è proprio il livello di acidità a limitare
o inibire l’assimilazione dei minerali, e
a un pH acido corrisponde un’elevata assimilazione
di ferro e alluminio. Quindi, in suoli
acidi le ortensie suscettibili al pH forniranno
tonalità variabili di blu, mentre in suoli neutri
o lievemente alcalini i colori vireranno al rosa
più o meno intenso. In alcune varietà, poi, il
pH non sufficientemente acido provoca vari
gradi di clorosi fogliare (ingiallimento), che si
può però superare somministrando solfato di
ferro (preventivo) o sequestrene di ferro, tenendo
conto che quest’ultimo è piuttosto fotolabile
e si deve quindi trattare nelle ore di
poca luce. I fiori bianchi resteranno invece invariati
o al più assumeranno una lieve colorazione
crema.

Foto di “i Giardini e le Fronde” https://www.igiardinielefronde.it/
Testo tratto dal mio ultimo libro “Anime da Giardino” ediz. Gribaudo
