Topinambur (Helianthus tuberosus).

Il nome Helianthus proviene dal greco “élios”, sole e “ànthos”, fiore, quindi fiore del sole…Anche se sarebbe più opportuno chiamarlo fiore della nebbia. Certo, la forma di grossa margheritona gialla, situata all’apice di steli alti anche 150-200 cm, rendono la pianta solare e vivace come poche altre, ma il periodo di fioritura si prolunga fino ai primi freddi, in pianura padana caratterizzati anche dalle nebbie fastidiose e un po’ tristi. Comunque si tratta di una perenne molto rustica che in molte zone si è addirittura rinaturalizzata, per esempio lungo i fiumi, negli incolti e lungo le ferrovie o le strade. Originaria dell’America è stata introdotta in Italia nel XXVII sec come ornamentale, ma ben presto i suoi tuberi bianchi e croccanti hanno trovato impiego nell’alimentazione, soprattutto al nord, in Piemonte e Lombardia in alcune ricette locali come la “bagna caoda”. Per assaporare i frutti sotterranei del topinambur, dal gusto simile alla patata, ma più freschi e consistenti, perché composti dal 10-12% di fruttosio, quindi adatti anche ai diabetici, si dovranno posare i tuberini in marzo aprile in file distanti 40-50 cm su un terreno ben esposto e magari marginale, ai lati di un orto o nel fondo di un giardino. Durante l’estate e abbastanza velocemente si formano le esuberanti piante dalle grandi foglie a forma di cuore che ingrasseranno i tuberi sotterranei da raccogliere in autunno prima che il terreno geli. Ottimi in zuppe caserecce o in umido con il pomodoro e le spezie, non sfigurano nemmeno freschi e tagliati a sottili fettine in insalate o semplicemente cotti al vapore. I tuberi dimenticati sul terreno forniranno energia alle nuove piante che ricompariranno in primavera, colorando ancora di giallo le nebbie novembrine.

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